Biologia, Biologia molecolare

La vita segreta in una cellula [video]

“La ricerca nelle scienze biologiche spesso dipende dallo sviluppo di nuovi modi di visualizzare importanti processi e molecole”

Questa frase si trova in uno dei siti che amo di più e contiene meravigliose animazioni di processi biologici, il sito BioVisions della Harvard University

Intanto vi potete gustare il video qui postato che illustra la vita segreta in una cellula, un mondo tanto affascinante quanto complesso.

 

Biologia molecolare

Quanto dura il DNA? Non abbastanza per credere a Jurassic Park.

Clonare un dinosauro è un’ipotesi affascinante, esplorata e ripresa dalla letteratura e dal cinema. Questa ipotesi però si scontra con la realtà non tanto per la sorgente del DNA da clonarre, quanto per il suo effettivo stato di conservazione. Potremmo quindi chiederci: quanto vive effettivamente il DNA? A questo quesito hanno dato una prima risposta i paleontologi Morten Allentoft e Michael Bunce, il primo dell’Università di Copenaghen, il secondo dell’Università di Perth, che hanno analizzato e comparato campioni di DNA estratto da antiche ossa fossili, verificandone lo stato di conservazione e calcolandone la sua teorica emivita.

Il problema della degradazione del DNA comincia subito dopo la morte della cellula. Gli enzimi iniziano ben presto a distruggere i legami tra i nucleotidi con la conseguente frammentazione del filamento. Questa azione viene inoltre rafforzata da numerosi altri micro organismi che accelerano tutto il processo di degradazione. Comunque, nonostante questi interventi, si ritiene che i maggiori danni strutturali nel lungo periodo siano provocati dalla interazione con le molecole d’acqua. Essendo quest’ultima ubiquitaria si ritiene che sia teoricamente possibile misurare la velocità di disgregazione delle ossa sepolte. Ma determinare questa misura è un processo complicato, è necessario recuperare  una quantità di materiale fossile sufficientemente elevata e, per confrontare i dati, le condizioni ambientali (temperatura, ossigenazione e microrganismi) in cui questi materiali sono stati trovati dovrebbero essere omogenee.

Allentof e Bunce hanno trovato il loro materiale di studio in Nuova Zelanda, in un complesso di tre siti, compresi in un raggio di 5 chilometri, che presentavano praticamente le stesse condizioni ambientali e di conservazione. I fossili da cui sono stati estratti i 158 campioni di DNA appartengono a tre specie di uccelli giganti, chiamati Moa, e hanno un’età compresa tra i 600 e gli 8000 anni.

Comparando l’età e il grado di degradazione dei campioni, i ricercatori hanno calcolato che il DNA ha un’emivita di 521 anni. Questo significa che dopo 521 anni la metà dei legami del DNA  sarebbero distrutti e dopo altri 521 anni non resterebbe più nulla del filamento originale. Dei fattori che influiscono sulla degradazione i paleontologi dichiarano che poco meno del 40% dell’effetto è riconducibile all’effettiva età del campione, il resto dei danni sono dovuti a diversi altri fattori tuttora in studio, compreso il periodo dell’anno in cui morì l’animale.

I due paleontologi inoltre hanno calcolato che ad una temperatura di −5° C, ritenuta ideale per la conservazione dei campioni, il DNA potrebbe arrivare a durare quasi 7 milioni di anni anche se, precisano, la sequenza non sarebbe più leggibile molto prima, dopo soli 1,5 milioni di anni.

Nonostante questi impressionanti numeri cadrebbe comunque la teoria per la quale sarebbe possibile clonare un T-Rex recuperando il DNA da residui di ambra, come nel film Jurassic Park. Essendo questi animali vissuti almeno 65 milioni di anni fa il loro DNA dovrebbe ormai essere definitivamente distrutto, possiamo quindi continuare a dormire sonni tranquilli.

 

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